Sabato 10 novembre 2006, cosa ci stavano a fare, in Cattedrale, quei tre misteriosi scatoloni disposti con cura sopra un tavolo ricoperto da candida tovaglia? E per di più, in grande evidenza proprio davanti all’altare? Erano già pieni o erano da riempire? Dovevano essere ben importanti se avevano il diritto di occupare quel posto centrale! Questi erano gl’interrogativi che ci ponevamo la sera della vigilia di S. Martino, la sera dei Vespri del Santo che noi bellunesi, di anno in anno ricordiamo per l’armonia degli inni e delle antifone. Ma quest’anno si sarebbe svolta, assieme ai vespri “la sessione di chiusura dell’inchiesta diocesana del Processo di Beatificazione di Papa Luciani”. Dato questo linguaggio inconsueto, pensavamo a una serie di discorsi monotoni, formali, pesanti. Invece: niente di tutto questo. Anzitutto molte delle invocazioni rivolte a S. Martino, combaciavano proprio con don Albino: «Uomo meraviglioso! Non ebbe paura della morte e non rifiutò le fatiche della vita». E inoltre: «Signore, se posso ancora servire il tuo popolo non rifiuto la fatica: sia fatta la tua volontà!». Erano le prime pennellate che tratteggiavano questo nostro fratello.
Chiediamo al Signore che lo annoveri tra i beati. Ed ecco che il nostro vescovo Giuseppe ci esorta a saperci rispecchiare nelle persone di questa terra avviate sulla stessa strada: padre Bottegal e padre Cappello. Ci esorta a tenerli a modello nella loro umiltà che faceva dire di se stessi: «Su questa polvere il Signore ha scritto». La figura di don Albino ci viene resa ancora più vicina, con pennellate ancora più intense: i suoi scritti. Ecco il grande comunicatore, lo straordinario catechista come emerge da una gustosa pagina di “Catechetica in briciole”, pagina sapiente e viva che ogni catechista, o maestro, o sacerdote deve tenere presente. Un altro brano è preso da un discorso fatto per la beatificazione di Claudio Granzotto, il frate scultore, straordinariamente umile: «Fra Claudio aveva scelto di andare giù. È appunto per questo che noi speriamo di vederlo in su».
Ci rendiamo conto, a questo punto, che noi tutti: parenti, cristiani venuti da ogni parte e tutti quelli che vedono Telebelluno, siamo lì chiamati ad essere testimoni di un evento unico che chissà quando si verificherà ancora qui a Belluno. Infatti, questi “processi di beatificazione” che si svolgono osservando mille regole e accorgimenti, di solito si tengono nella diocesi in cui il Servo di Dio è morto. Stavolta è stata fatta dunque, un’eccezione e si è svolto qui, nella sua Diocesi di nascita, nella Cattedrale dove ha tante volte celebrato e dove sono state portate le testimonianze raccolte in questi mesi che sono contenute in quegli scatoloni! Avviene una scrupolosa, particolareggiata lettura, intercalata dal giuramento e da firme di un lungo verbale. I verbi sono al passato remoto, ma i gesti si svolgono sotto i nostri occhi: il presente diventa storia! Tutti possiamo vedere e constatare che tutta quella documentazione verrà portata a Roma dal postulatore che è don Enrico dal Covolo, feltrino. Gli scatoloni vengono sigillati. Stiamo tutti in assoluto, prolungato silenzio, coscienti dell’importanza e della straordinarietà dell’evento. Rumori inusuali, come lo stridere del nastro adesivo e il picchiare dei timbri, echeggiano nella cattedrale. Rumori banali che assumono la carica di gesti che incidono nella vita del Servo di Dio (don Albino si può chiamare anche così) e nella vita della nostra Chiesa diocesana e di tutta la Chiesa. Tutto si è svolto in un’atmosfera di grande attenzione e di preghiera. Abbiamo percepito la solennità religiosa di un linguaggio che avrebbe potuto essere solo burocratico.
Diciamo tra noi: «Abbiamo bussato alla porta del Cielo, presentando questo nostro fratello che, in 33 giorni da Papa, ha edificato la Chiesa col suo modo amabile e innovativo». Quando vengono portati fuori i tre scatoloni, li sentiamo veramente preziosi: il loro contenuto richiede davvero mani pure, parole di verità, cuori sinceri, tanta preghiera. Ci apre il cuore alla speranza l’arioso inno dell’epoca di don Albino: «A Te che trionfi nei secoli...». Ci pare di sentire la sua voce cantare festosa con noi.
A.C.
Non possiamo non ricordare che qualche settimana prima della chiusura dell’Inchiesta Diocesana, la Rai aveva trasmesso una seguitissima fiction in due puntate su papa Luciani: tra i 10 e 11 milioni di telespettatori. A seguito di questa trasmissione, il giorno dopo, il sito del Centro Papa Luciani era passato dalle 40/50 visite giornaliere a ben 930!
Ciò dimostra quanto la fiction abbia suscitato quantomeno tanta curiosità di conoscere meglio la figura di papa Luciani. Ma posso assicurare che, dalle testimonianze che mi arrivano, non si tratta solo di curiosità, ma soprattutto di desiderio di imitare Luciani nelle sue virtù e nella sua capacità di donare agli altri serenità e speranza. È chiaro dunque che la fiction ha svolto un grande servizio: ha presentato papa Luciani a moltissimepersone che non lo avevano conosciuto o si erano dimenticate della sua esistenza, a causa della brevità del suo pontificato.
Né le esagerazioni cinematografiche, forse nate solo dall’uso del particolare linguaggio televisivo, hanno offuscato quell’aspetto di semplicità e di bontà che costituiva il fascino di Giovanni Paolo I. Anzi, proprio questo aspetto è stato evidenziato dalla fiction così che sono passate in secondo piano alcune interpretazioni, pure presenti, che hanno causato qualche riserva. Ma chi ha conosciuto Luciani o chi semplicemente ne ha immaginato la figura, credo si sia trovato davanti ad un ritratto realistico.
Che il cammino di santità di Luciani, trovi volontà di imitazione anche nella nostra vita.